“O.F.N.”

OFN – ORDO FRATRES NAVIGANTES 1
DOCUMENTO DI DISCUSSIONE

I progetti monastici terrestri
sono oggi naufraghi.

Perchè allora non buttarci per
mare? – CP

          Premessa
Il progetto di esplorare la fattibilità del coniugare la pratica della navigazione a vela con la ricerca spirituale nasce dall’incontro casuale fra Stefano Baldini (d’ora in poi SB) e Cesare Poppi (CP) negli anni 2017-2018 presso i Ravenna Yacht Club di Marina di Ravenna. Ad un primo scambio di opinioni con amici della stessa cerchia di velisti ‘puristi’ seguono un serie di conversazioni a due a bordo del Dufour 31 Cèmare seguite da una crociera lungo la costa Croata dal 4 al 15 Ottobre 2019.

           Il concetto e le esperienze
SB e CP sono, entrambe, da sempre interessati alla vita monastica. Conoscenza ed esperienza delle quali sono state perseguite per percorsi ed interessi diversi che ora sembrano convergere sul concetto fondante l’OFN. Le Regole monastiche ‘tradizionali’ sembrano essere state impostate sulla base di una concezione della vitya monastica impostata (come la Regola Benedettina) sulla base di una vita activa di natura agricola (i meriti delle varie opzione della stessa – monadiche, idioritmiche, cenobitiche od eremitiche (e varanti) che siano non ci concernono almeno a questo specifico punto della riflessione) o di natura intellettuale-proselitizzante della fase più tarda del Cristianesimo a partire dal Francescanesimo e dai successivi Ordini Predicatori che segnano la fase ‘moderna’ dell’evangelizzazione.

Assistiamo alla crisi contemporanea di quel documento fondante ed ispirante che vede in difficoltà – ultimo ma non certo insignificante – l’esperienza di Bose inaugurata dal Priore Enzo Bianchi, promotore di una concezione del monachesimo ‘innovativa’ pur nella scia della tradizione benedettina e secondo i termini peraltro controversi del Concilio Vaticano II.

Il fondamento materiale e morale tradizionale ha sempre visto nella produzione agricola, direttamente od indirettamente, la base della tradizione cenobitica (ed in buona sostanza, con eccezioni, anche di quella eremitica) non solo dal punto di vista economico, ma anche dal punto di vista morale e spirituale. La preghiera ed il lavoro sono stati concepiti come facce inscindibili della stessa medaglia a partire dai grandi disboscamenti e dalle bonifiche benedettine che finirono per prevalere su esperienze di vita cenobitica alternativa come ad esempio l’intellettualizzante Vivarium di Cassiodoro. Il dominio simbolico e metaforico della coltura/coltura ha alimentato per secoli l’analogia fra la crescita spirituale e la maturazione dei raccolti. Nozioni della Santità come Primizia dello spirito, la rinuncia ed il sacrificio di se in quanto passo necessario verso la maturazione sono cresciute sulla base della metafora evangelica della morte e resurrezione del Seme – peraltro secondo schemi simbolici e cognitivi profondamente radicati nella struttura stessa dell’esperienza religiosa. A questo prevalere della dimensione terra-cielo come topos nel quale situa l’esperienza della vita monastica non è corrisposto un tentativo di situare la stessa in ambiente marino secondo una coniugazione dell’ecologia materiale e spirituale
secondo l’asse mare-cielo.

           Il mare come simbolo e metafora
Uno sguardo anche il più sintetico alla tradizione Scritturale certifica come il mare sia elemento fondante e fondamentale dell’elaborazione simbolica della tradizione giudaico-cristiana.
Elemento primordiale, antitetico e complementare alla Terra fin dall’atto della creazione, il Mare continua a comparire in contesti simbolici centrali nella storia della Salvezza di una compagine etnica e culturale non certo legata al mare come erano gli israeliti. Dal passaggio del Mar Rosso all’episodio di Giona, dal battesimo nel Giordano alla pesca miracolosa, dalla passeggiata sulle acque al governo della tempesta, il mare e l’acqua sono metafore della vita spirituale e simboli dei passaggi cruciali nei quali questa si manifesta.

           La Barca come simbolo e metafora
La Chiesa è una barca che naviga un mare in tempesta. Questa la metafora della condizione della Chiesa Militante non sono per quanto riguarda il rapporto col mondo esterno ma anche per ciò che concerne i problemi del suo governo con un’equipaggio a volte indisciplinato e ufficiali al comando spesso incompetenti.
Secondo una tradizione iscritta in opere come ‘La Navigazione di San Brendano (Navigatio Sancti Brendani)’, il viaggio per mare si configura come metafora del apporto indissolubile, necessaria e cogente che la navigazione impone fra l’ambiente e gli uomini e fra gli uomini stessi. Il Mare come Vita: poiché non solo siamo tutti sulla stessa barca, ma navighiamo tutti lo stesso mare. Questa metafora è peraltro al centro di alcune delle più alte vette raggiunte dalla letteratura: dall’ Odissea ai viaggi di Simbad, da Conrad a Melville ed Hemingway e tanti altri, la navigazione rappresenta la condizione umana in quanto sintesi di ineluttabile destino. Da questo dato primario non si può né prescindere, né fuggire: si può solo governarlo.
Riprendendo la famosa rampogna di Pompeo ai marinai riluttanti a spingere le navi a mare, sulle chiglie delle navi della Lega Anseatica veniva scolpito il motto: ‘Navigare necesse est. Vivere non est necesse’: ‘non è necessario vivere, ma è necessario navigare’.

           La Barca come Disciplina e come fonte della Regola
Nel racconto ‘La Linea d’Ombra’, capolavoro di riflessione sul destino esistenziale di un marinaio al suo primo comando, lo scrittore polacco Joseph Conrad scriveva: ‘Una barca, questa barca, la nostra barca, la barca che noi serviamo, è il simbolo della condizione morale della nostra vita’ (traduzione dall’inglese mia, CP).
Una barca viene ‘servita’ dal suo equipaggio. Forse per questo, almeno nelle lingue europee, una barca è sempre femminile: ‘she’, in inglese. Ma una barca è femminile anche nella sua funzione materna. Questa è ad un tempo protettiva, maieutica e prescrittiva nei suoi insegnamenti. Punitiva nel caso si commettano azzardi ed errori. Un buon equipaggio è un equipaggio che lavora in armonia ai fini del governo della barca. Questo implica la competenza per dispiegare al meglio le sue potenzialità, comprenderne i limiti e tenersi all’interno di questi. Ma per giungere a quel risultato occorre che tutti diventino consapevoli delle proprie, personali potenzialità, comprendano i limiti delle proprie competenze e si mantengano all’interno di queste: coscienza di Sé, impegno ed umiltà. Queste le doti di un marinaio, di tutti i marinai – poiché le gerarchie del Mare sono gerarchie egalitarie – dal Comandante al Cambusiere.
Chi abbia condiviso gli spazi necessariamente angusti di una barca – a vela poiché è nella disciplina tecnica della navigazione che si dispiega appieno la sostanza morale della navigazione – sa bene come sia difficile mantenere l’armonia di intenti al di là delle romantiche intenzioni: se la barca è scuola di vita è anche Maestra severa che non concede spazio alle illusioni ma premia la ricerca e lo sforzo. Una Regola monastica (ho qui in mente in mente come riferimento il contributo di Giorgio Agamben ‘Altissima Povertà: Regole Monastiche e Forme di Vita’) non è, come comunemente si equivoca, la gabbia entro la quale il monaco o la monaca chiudono senza riserve la propria libertà e le proprie relazioni illudendosi che così facendo si possa aver garantita la perfezione. La vita spirituale – se vita è – non funziona così. Piuttosto, la Regola costituisce la cornice di riferimento necessaria per verificare ad ogni passo la coerenza o meno del proprio personale, unico ed irripetibile percorso verso quel Fine che appare, si configura e si riconfigura nella variabilità delle condizioni esistenziali mano a mano che ci si avvicina all’approdo.
Ecco allora che, nella prospettiva dell’ OFN, la Regola che impone la Barca che dall’equipaggio è servita per servire il suo equipaggio’, in quanto sintesi di oggettive ‘regole di navigazione’ incarnate nello sforzo personale, può costituire l’ambiente previlegiato nel quale misurare, marea dopo marea, lo stato di avanzamento per riportare – come fosse un rilevamento al sestante – l’azimut stellare sulla retta del proprio progresso spirituale.

           Per concludere
Quanto sopra vuole essere una proposta e dunque un documento di discussione e di lavoro. Dovesse vedersene l’utilità i dettagli applicativi saranno discussi nelle sedi e secondo modalità da concordare.
Fra le questioni da dibattere – al di là degli aspetti teologici sui quali mi riservo eventualmente di elaborare, per quanto è nelle mie forze, se e quando opportuno – vi è anzitutto la questione ecclesiologica, centrale nell’attuale temperie della procella della barca di Pietro, dell’inclusività di genere del progetto. Si dovesse – come forse auspicabile – formulare invece che un Ordo Fratres un più inclusivo Ordo Navigantium (‘ON’ – per gli iniziati: inglese per ‘come on board’ – vieni a bordo), la decisione spetterebbe ad un Capitolo Fondatore ancora da venire.

In nomine Domini: Buon Vento!